Rocco e i suoi fratelli (Luchino Visconti 1960)

DOMENICA 6 GENNAIO 2019 DALLE ORE 20:00

Rocco e i suoi fratelli ci porta dai classici del cinema italiano al tema di gennaio: migrazioni e razzismo. Negli anni del boom escono tanti grandi film, da La dolce vita a Il sorpasso, che raccontano l’Italia che sta cambiando, ma Visconti, gay, comunista e discendente della nobiltà milanese, è l’unico che parla della migrazione dal Sud rurale alle grandi città del Nord e dei risvolti umani e sociali di un fenomeno ignorato da tanti altri registi.
Alla morte del marito, la lucana Rosaria Parondi (Katina Paxinou) si trasferisce a Milano, dove abita il primogenito Vincenzo (Spiros Focás), con gli altri quattro figli maschi: Simone (Renato Salvatori) comincia una carriera nella boxe, Rocco (Alain Delon) fa il garzone in una stireria, Ciro (Max Cartier) va a lavorare in fabbrica e Luca (Rocco Vidolazzi), il minore, rimane a casa con la madre. L’ossessione di Simone per la prostituta Nadia (Anne Girardot), della quale si invaghirà anche Rocco, porterà alla tragedia e alla disgregazione della famiglia Parondi.
Questo grande melodramma, basato su Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori (1958), affronta le difficoltà di adattamento in una nuova realtà sociale, la condizione di chi si sente straniero in una città ostile, tra sogni di ritorno alla terra natia e voglia di integrazione in una Milano vista attraverso gli occhi di chi ne è respinto, allontanato, fagocitato. La migrazione interna verso il Nord produttivo in Rocco e i suoi fratelli ci mette davanti sia all’esperienza dei tanti italiani che hanno lasciato e continuano a lasciare la propria terra d’origine in cerca di un futuro migliore che all’atteggiamento degli italiani che accolgono i migranti, siano essi del Sud Italia e del sud del mondo. Il brutale trattamento di Nadia ci riporta a un altro tema tristemente attuale, quello della violenza sulle donne, che oggi viene spesso strumentalizzato per fomentare l’odio razziale.


Rocco e i suoi fratelli fu oggetto di severe restrizioni da parte della censura. Il film dipingeva un ritratto amaro dell’Italia del boom economico, e per questo fu duramente osteggiato da una certa classe dirigente, poco propensa ad accogliere le critiche mosse da Visconti alle profonde divisioni sociali del nostro paese. Ma come il neorealismo, soffocato dalle politiche del governo democristiano del primo dopoguerra proprio per l’immagine critica che dipingeva dell’Italia, il film venne riscattato dal successo che lo consacrò fra i capolavori del cinema italiano. Al Festival di Venezia di quel’anno, sebbene fosse dato per favorito, il film dovete accontentarsi del Premio della Giuria (un verdetto controverso che suscitò infuocate polemiche), ma in compenso riscosse un enorme successo di pubblico, con circa dieci milioni di spettatori. ‘La chiave di volta degli stati d’animo, delle psicologie e dei conflitti, è dunque per me prevalentemente sociale, anche se le conclusioni a cui giungosono soltanto umane e riguardano concretamente gli individui singloi. Il lievito, però, il sangue che scorre nella storia è intriso di passione civile, di problematica sociale.’ (Luchino Visconti, ‘Da Verga a Gramsci’

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